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Teatro alla Scala. La bohème PDF Stampa E-mail
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Venerdì 21 Aprile 2023 15:21
(Vittoria Lìcari) Non si può immaginare una regia della Bohème più moderna di quella, tradizionalissima, di Franco Zeffirelli, riproposta alla Scala nel sessantesimo anniversario della sua prima rappresentazione e nel centenario della nascita del grande regista.
 
Si tratta di un allestimento da record, mai sostituito dal suo esordio, e che pure non ci si stanca mai di rivedere, cogliendone ogni volta nuovi particolari, forse mai notati prima, o forse frutto di quella “stratificazione” di cui parla Marco Gandini – autore, dal 2000, delle riprese della regia originaria – legata soprattutto al susseguirsi, in tanti anni, di tanti interpreti diversi. Gandini si definisce “collettore di esperienze” degli artisti che ha seguito in occasione delle varie riprese e che contribuiscono alla “rigenerazione” della regia originale. Si tratta, probabilmente, del capolavoro di Zeffirelli nell’ambito degli allestimenti operistici.
 
Come non restare rapiti, per esempio, dal secondo quadro, così affollato, ma in cui, tuttavia, ogni corista, ogni figurante rappresenta un personaggio con caratteristiche precise, e dove, all’interno della scena principale, se ne riconoscono tante altre, curatissime nei dettagli e che fra loro, e con quella, si incastrano alla perfezione. Le scene – dello stesso Zeffirelli – consentono di apprezzare ancora una volta la raffinatezza di un gusto che, ancorato alla solida preparazione accademica ricevuta presso l’Accademia di Belle Arti e la Facoltà di Architettura fiorentine, sublima il realismo nella poesia. I costumi di Piero Tosi sono stati “rinfrescati” con grande attenzione e discrezione da Anna Biagiotti, mentre Marco Filibeck ha operato un bellissimo lavoro di affinamento delle luci, altro elemento di quella rigenerazione della regia a cui si è già fatto riferimento.
 
Eu Sun Kim ha diretto con autorevolezza e grande forza espressiva, creando un ottimo rapporto fra voci e orchestra.
 
Nel ruolo di Rodolfo, Freddie De Tommaso canta con tale libertà espressiva che la sua grande voce qualche volta “deborda” in un tratto stilistico al quale non si è più abituati, in quanto da tempo prevalgono modalità vocali molto più “governate”, che scorrono entro binari più definiti. Quella di De Tommaso, invece, è una voce che esce spesso da questi binari, come se sfuggisse di mano all’interprete per eccesso, appunto, di espressività.
 
Luca Micheletti, reduce dai panni di Guido di Monforte nei Vespri siciliani, ha confermato il suo eclettismo e la grande preparazione tecnica sia come cantante che come attore.
 
Irina Lungu, dopo avere impersonato Musetta nelle prime recite - in cui Mimì era Marina Rebeka – le è subentrata nel ruolo, disegnando una figura di donna delicata e al tempo stesso forte e assetata di vita.
 
La parte di Musetta è quindi passata alla bravissima Mariam Battistelli, al suo debutto alla Scala in un ruolo che aveva già cantato molte volte all’Opera di Vienna, del cui ensemble stabile ha fatto parte per diversi anni. Una interpretazione, la sua, sbarazzina e maliziosa al punto giusto, in cui già dall’inizio si evidenzia la bontà d’animo che, nell’ultimo quadro, contribuirà a riunirla a Marcello con la benedizione della morente Mimì: le diverse facce di una stessa donna, proprio come nell’originale letterario di Henri Murger, splendidamente dipinte dalla deliziosa Mariam.
Allievo dell’Accademia del Teatro dal 2007 al 2010, Jongmin Park aveva già cantato alla Scala nel Ballo in maschera, nei Capuleti e Montecchi e in Ariadne auf Naxos. Vi è ritornato nel ruolo di Colline, la cui celebre “Vecchia zimarra” ha interpretato in modo intimo e raffinato, sfoggiando bellissime mezze voci.
 
Bravo Alessio Arduini come Schaunard, e addirittura perfetto Andrea Concetti nei due ruoli di Benoît e Alcindoro, debitamente “asciugati”, come è abitudine di questo bravissimo cantante-attore, da tutte le stratificazioni caricaturali accumulate da una cattiva tradizione.
Orchestra ai massimi livelli e coro – diretto da Alberto Malazzi – in cui più che mai risaltano le plurime individualità, pur nella massima coerenza musicale. Anche il coro di voci bianche diretto da Bruno Casoni ha fatto la sua parte con grande maestria.
 
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