Contenuto Principale

BONUS TAXI, RIMBORSO DEL 50% SUL COSTO DELLA CORSA

L’Amministrazione Comunale ha finanziato con 205.709,00 euro un incentivo per chi utilizza i taxi pe...

MONZA: CERTIFICATI ANAGRAFICI IN TABACCHERIA

Dal 24 settembre 2020 i residenti monzesi possono richiedere presso 11 tabaccherie cittadine dei c...

Strade e ponti: 17 milioni per gli investimenti della Provincia MB per il 2022

La Provincia MB presenta il piano investimenti per la viabilità che prevede oltre 6,3 milioni di eur...

CONTRIBUTI ALLE FAMIGLIE PER I SERVIZI EDUCATIVI

CONTRIBUTI ALLE FAMIGLIE PER I SERVIZI EDUCATIVI Grazie al Progetto Family Hub 3.0 sono a disposi...

RIANZA ReSTART - Nasce il “laboratorio” territoriale per il Patto per il Lavoro della Brianza.

BRIANZA ReSTART - Nasce il “laboratorio” territoriale per il Patto per il Lavoro della Brianza. La ...

  • BONUS TAXI, RIMBORSO DEL 50% SUL COSTO DELLA CORSA

    Martedì 10 Marzo 2020 10:57
  • MONZA: CERTIFICATI ANAGRAFICI IN TABACCHERIA

    Lunedì 16 Marzo 2020 07:20
  • Strade e ponti: 17 milioni per gli investimenti della Provincia MB per il 2022

    Sabato 04 Aprile 2020 07:02
  • CONTRIBUTI ALLE FAMIGLIE PER I SERVIZI EDUCATIVI

    Martedì 07 Aprile 2020 08:12
  • RIANZA ReSTART - Nasce il “laboratorio” territoriale per il Patto per il Lavoro della Brianza.

    Martedì 14 Aprile 2020 13:11

Scelti da Noi

Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

Teatro alla Scala: Médée PDF Stampa E-mail
Valutazione attuale: / 0
ScarsoOttimo 
Martedì 13 Febbraio 2024 06:56
(Vittoria Lìcari) Al Museo Teatrale alla Scala è aperta fino al 30 aprile 2024 la mostra Fantasmagoria Callas, che celebra il centenario della nascita della leggendaria artista - caduto il 2 dicembre 2023 – attraverso alcuni allestimenti che ne rivisitano la figura da diversi punti d’osservazione.
I visitatori possono, fra l’altro, ammirarvi il magnifico costume disegnato per lei da Salvatore Fiume, che curò bozzetti e figurini per l’allestimento scaligero di Medea di Luigi Cherubini (Firenze, 14 settembre 1760 – Parigi, 15 marzo 1842) nella stagione 1953/1954. Nell’immaginario collettivo, la figura della maga còlchica è indissolubilmente legata alla Callas, che proprio interpretando questo personaggio il 3 giugno 1962 calcò per l’ultima volta la scena milanese.
Il capolavoro di Cherubini era stato rappresentato per la prima volta alla Scala nella stagione 1909/1910 con protagonista Ester Mazzoleni, della quale Giovanni Pozza, critico del Corriere della Sera, aveva lodato la prestazione nel suo insieme, osservando, però, che «[…] non poté dare alla sua voce tutta la violenza della passione di Medea, l’urlo dell’angoscia e della ferocia». Un giudizio ovviamente impossibile da verificare, anche se la grande cantante dalmata era nota per il suo temperamento drammatico. Tutt’altre recensioni quelle riservate alla Callas in occasione dei due allestimenti che la videro protagonista, a distanza di dieci anni l’uno dall’altro, con toni esaltanti in entrambe le occasioni. Ancora sul Corriere della Sera, il 12 dicembre 1961 Franco Abbiati scrisse: «[…] questa sua Medea è unica al mondo per la vibrante penetrazione psicologica del personaggio, per l’intimo ardore delle modellature esteriorizzate in modo stupendo […]». E, di nuovo, in occasione delle repliche del maggio successivo: «In forma splendida, forte di una personalità che trascende le pur eccelse doti di uno stile vocale drammaticamente intenso ed emotivamente impetuoso […]». Com’è noto, la Callas rivoluzionò le modalità interpretative dell’opera lirica. In possesso di una tecnica vocale di altissimo livello e di un senso del teatro di stampo autenticamente tragico, seppe piegare la propria voce – estesissima, ma non certo aderente ai comuni canoni estetici, soprattutto in rapporto all’epoca in cui operò – alle più diverse sfumature interpretative.
 
Medea e Maria Callas: un personaggio mitico incarnato in una donna reale che si era trasformata, a sua volta, in mito. Nulla a che vedere, comunque, con la “prima” assoluta alla Scala della versione originale dell’opera, ossia Médée, cantata in francese secondo il libretto di François-Benoît Hoffman - che in passato veniva proposto nella versione italiana di Carlo Zangarini - e priva dei recitativi musicati da Franz Lachner. Nulla a che vedere anche per la scelta del direttore Michele Gamba di proporre un’orchestra dal suono trasparente, sottile, e uno stile di canto che, guardando a Gluck e al Mozart di Idomeneo, si colloca, appunto, fra il declamato gluckiano e un respiro melodico, talvolta punteggiato da frammenti virtuosistici sempre però coerenti con la drammaturgia. Il contesto sonoro è di stampo classico – la prima assoluta andò in scena nel 1797 – si avvertono anticipazioni del beethoveniano Fidelio e di certo Berlioz. La tinta orchestrale è inevitabilmente scura, data la presenza di quattro corni e l’assenza delle trombe. Gamba ha eliminato le “romanticizzazioni” e “modernizzazioni” introdotte da Leonard Bernstein, che era sul podio nel 1953, e rilevate dallo stesso Abbiati: ma sappiamo benissimo che, fino alla seconda metà del ‘900 – e anche oltre – tutta la musica preromantica subiva un processo di romanticizzazione interpretativa.
Purtroppo, solo pochi fortunati hanno potuto ascoltare nel ruolo del titolo Marina Rebeka, sulla quale Gamba aveva costruito la sua lettura dell’opera. In strenua lotta contro la tracheite che l’aveva colpita, la cantante lettone, grazie alla sua tecnica superlativa, era riuscita a portare a termine la prima e la seconda rappresentazione, per essere successivamente sostituita da Maria Pia Piscitelli e da Claire de Monteil. Un eroico tentativo di ritornare in scena alla quinta recita si è purtroppo concluso alla fine del primo atto, con la definitiva sostituzione da parte della Monteil per i restanti due atti e per l’ultima rappresentazione. Per quanto è possibile giudicare, tuttavia, la sua vocalità risultava del tutto coerente con il colore orchestrale e le intenzioni del direttore, e la sua presenza scenica coglieva perfettamente i contrasti interiori del personaggio. Bravissima Martina Russomanno nella parte di Dircé, che ha perfettamente caratterizzato anche attraverso l’uso espressivo dei virtuosismi vocali. Buono il Jason di Stanislav de Barbeyrac. Un po’ sottotono Nahuel Di Pierro (Créon) e Ambroisine Bré (Néris).
 
Il regista Damiano Michieletto ha continuato il percorso inaugurato con Salome di Richard Strauss: coniugare il mito con l’esistenza e l’estetica contemporanee. Ha quindi deciso di conferire una maggiore presenza ai figli di Médée e Jason, attorno ai quali ruota la tragedia, ma dei quali non si ode mai la voce, nemmeno nell’originario testo di Euripide. Michieletto si è chiesto cosa i bambini possano pensare di coloro che li circondano e di ciò che sta accadendo intorno a loro. Messi da parte i dialoghi originali in versi alessandrini, li ha sostituiti con alcuni brevi scambi di battute, scritti per l’occasione da Mattia Palma – qui in veste di dramaturg – che danno voce appunto ai due bimbi, inconsapevoli vittime della tragedia familiare in atto. La reggia di Corinto viene rappresentata come una casa borghese, pulita e ordinata, il cui ordine e la cui pulizia verranno sconvolti dall’arrivo di Medea, fino a trasformarsi in un cumulo di macerie. Durante l’ouverture, sul velario viene proiettata – in lettere greche - una delle prime frasi pronunciate dalla nutrice nell’originale di Euripide: «La casa? Non c’è più, è distrutta». È lei, la nutrice – Néris nell’opera di Cherubini - che mette in relazione tutti i personaggi e conosce sin dalle origini questa sanguinosa costellazione familiare. Mai come in questo caso appare condivisibile una regia che coglie e illustra ciò che di contemporaneo e reale si trova nel mito, ma il rischio – sempre presente – è la banalizzazione. Vero è che la dimensione mitica allontana da noi – almeno in apparenza - una vicenda che, ben lungi dal rimanere emblematica, si incarna in una tristissima attualità. Ridurla alla sua più cruda dimensione umana può essere drammaturgicamente efficace, tantopiù che il finale, con il crollo delle macerie sulla scena, mantiene simbolicamente il coté soprannaturale dell’esplosione del tempio di Corinto. Ma l’immagine che resta negli occhi dello spettatore dei nostri giorni è Jason che prende disperatamente a pugni la porta serrata dietro la quale giacciono i suoi figli, avvelenati dalla madre. Una immagine fin troppo emblematicamente attuale.
 
Ricerca / Colonna destra
Segui i nostri feed per essere sempre aggiornato!

L' Editoriale