Martedì 20 Settembre 2022 05:55 |
Villa Contemporanea è lieta di presentare Microbiota. Un ampliamento dell’esperienza sensoriale, seconda personale di Elisa Cella, artista di formazione matematica, da sempre affascinata dalla scienza e dalla biologia cellulare.
L’artista, nota per la sua personalissima ricerca pittorica circolare, torna in galleria con un nuovo progetto installativo nato dallo studio di precise forme biologiche che dialogano con l’architettura della galleria. Protagoniste dello spazio sono, infatti, le sue sculture in metallo che riproducono gli organismi, il loro eterno rigenerarsi, la loro infinita bellezza, al di là della loro funzione specifica.
In ambito scientifico, quando si parla di microbiota si fa riferimento alla totalità dei singoli microrganismi - batteri, funghi, archeobatteri e protozoi - e dei virus che vivono e colonizzano uno specifico ambiente in un determinato tempo. In maniera analoga, le forme scultoree di Elisa si impossessano dello spazio espositivo e si riproducono generando una popolazione di forme tanto affascinanti quanto misteriose.
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Mercoledì 07 Settembre 2022 06:32 |
Riprendono i corsi di Free Moving per la stagione 2022/2023 con la novità che quest'anno il settore agonistico non sarà limitato all'atletica leggera, ma comprenderà anche il nuoto ed il judo! Inoltre, il judo si aggiunge come novità alla già ricca offerta sportiva grazie all’inserimento di un atleta esperto di questa disciplina.
L’inizio dei corsi è previsto da Lunedì 3 Ottobre 2022 secondo il calendario seguente.
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Martedì 06 Settembre 2022 09:10 |
La nuova produzione scaligera di Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi, se ha sufficientemente convinto sul piano musicale, non ha raggiunto analogo risultato su quello registico.
(Vittoria Lìcari) Al suo debutto milanese, il regista svizzero Marco Arturo Marelli – autore anche di scene e costumi – ne ha dato una interpretazione che, partendo da una lettura drammaturgica molto – forse troppo – personale, ha raggiunto un esito altalenante fra il didascalico e il criptico, nuocendo spesso alla corretta comprensione dell’opera, specie da parte di chi, fra il pubblico, non la conoscesse bene.
Al versante didascalico, nonché a quella forma di horror vacui di cui molti registi soffrono, appartiene l’azione scenica di Riccardo durante il preludio, che disturba notevolmente l’ascolto. Vero è che la pagina in questione contiene pressoché tutti gli elementi musicali riassuntivi dell’opera, ma che bisogno c’è di visualizzarli a tutti i costi? Il regista teme forse che il pubblico non sappia ascoltare? Perché questa smania di far prevalere l’elemento visuale su quello uditivo, che in un melodramma dovrebbero invece presentare massima coerenza?
Altro inutile didascalismo è la figura della morte che compare a Riccardo già nel preludio e ne accompagna l’agonia nel finale. Anche qui la musica sarebbe più che sufficiente a trasmettere il senso del dramma, tutt’altro che inatteso, anzi, perfettamente preparato dall’autore.
Gli influssi francesi, peraltro riconosciuti da Verdi stesso, «[…] sono evidenti nelle scene di corte e nella musica impertinente del paggio Oscar; Verdi sembra aver fatto proprio per la prima volta il mondo di Offenbach e di Delibes senza cadere dal sublime nel ridicolo.» (Julian Budden, Le opere di Verdi, Volume secondo, p. 401). Nel nostro caso, Marelli ritiene, forse, che sia il caso di rendere evidenti gli influssi offenbachiani impegnando il coro, sul finale del primo quadro, in un can can francamente fuori luogo e di gusto alquanto scarso, in tal modo cadendo, appunto, nel ridicolo.
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Lunedì 29 Agosto 2022 05:34 |
(Vittoria Lìcari) Dopo soltanto tre anni dal suo ultimo allestimento, Ariadne auf Naxos di Richard Strauss è tornata alla Scala nella veste – nuova per le scene milanesi – che nel 2012 il regista Sven-Eric Bechtolf ideò per il Festival di Salisburgo in occasione del centenario della prima versione di quest’opera particolarissima.
La genesi di Ariadne è nota, ma vale la pena, comunque, di ricordarla, in quanto vede coinvolte alcune delle maggiori personalità della scena teatrale europea d’inizio Novecento: oltre a Strauss, il poeta e drammaturgo Hugo von Hofmannsthal e il regista Max Reinhardt. Quest’ultimo, grande amico di Hofmannsthal, aveva dato un decisivo contributo al debutto del Rosenkavalier, avvenuto a Dresda nel 1911, senza nemmeno voler essere citato in locandina.
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Mercoledì 17 Agosto 2022 05:30 |
TEATRO ALLA SCALA. DON GIOVANNI
(Vittoria Licari) È stato riproposto alla Scala lo spettacolo che inaugurò la stagione 2011/2012, Don Giovanni, di Wolfgang Amadeus Mozart e Lorenzo da Ponte, regista Robert Carsen, scene di Michael Levine, costumi di Brigitte Reiffentuel, luci dello stesso Carsen e di Peter van Praet, coreografia di Philippe Giraudeau.
Nella visione di Carsen, con il plateale ingresso sulle prime note della Ouverture e lo strappo del sipario, Don Giovanni si presenta subito come regista della propria storia e porta il pubblico direttamente al suo interno, coinvolgendolo attraverso il fondale a specchio e, in pratica, obbligandolo a riflettersi nel suo punto di vista, nonché a riflettere su di esso. Quanto al ribaltamento dei valori tradizionalmente condivisi attuato dal protagonista, Carsen lo ribadisce nel finale in cui, al termine della “licenza”, i cinque personaggi che hanno appena moraleggiato sul “fin di chi fa mal” sprofondano nell’inferno da cui, invece, Don Giovanni riemerge inaspettatamente alle loro spalle, fresco come una rosa.
La prima scena di questo allestimento evidenzia un elemento che rimane solitamente sottotraccia, e cioè la doppia natura di Donna Anna, che mente a sé stessa, al padre, e poi anche al fidanzato Don Ottavio, ma che poi, costretta dalle circostanze e dalle convenzioni, decide di mettersi contro Don Giovanni in quanto assassino di suo padre. E forse la sua decisione dipende davvero solo dal fatto che le convenienze sociali glielo impongono: in fondo, Don Giovanni potrebbe averle fatto un favore, liberandola da una figura paterna così “ingombrante”.
A tale proposito, viene da pensare alla situazione di un’altra donna appartenente al mondo letterario spagnolo, la Leonora della Fuerza del sino di Ángel de Saavedra, a cui Giuseppe Verdi fece riferimento per La forza del destino: pur in una situazione molto diversa riguardo ai sentimenti che intercorrono fra i personaggi, l’uccisione del padre autoritario da parte dell’amante scatena nella figlia un senso di colpa che, letto in chiave sociopsicologica, sembrerebbe indotto dalle circostanze esterne più che dal dolore per la perdita del genitore. In realtà, il vero lutto di Leonora sta nell’aver perso l’innamorato, con il quale – in quanto uccisore del padre - non potrà più nemmeno fuggire. Due melodrammi diversissimi, ma che si aprono mettendo in scena circostanze quasi analoghe.
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Martedì 26 Luglio 2022 07:00 |
(Vittoria Lìcari) A dodici anni dal debutto al Covent Garden è giunto a Milano l’allestimento di Adriana Lecouvreur creato per le scene londinesi nel 2010 da David McVicar, già in passato ospite della Scala, nel 2014 con una magnifica edizione di Les Troyens di Hector Berlioz e nel 2019 con I masnadieri di Verdi, e, ancora pochi mesi fa, con quell’affascinante spettacolo che è stata La Calisto di Cavalli. McVicar è senza dubbio uno dei maggiori registi d’opera attualmente in attività, ed è proprio il mondo teatrale che viene celebrato in questa splendida regia – ripresa da Justin Way, assistente di McVicar – con le scene di Charles Edwards, che ci mostrano da diverse prospettive il palcoscenico della Comédie Française in cui spicca il busto di Molière, i bellissimi costumi d’epoca di Brigitte Reiffenstuel, le luci di Adam Silverman e le coreografie di Andrew George per il balletto del terzo atto.
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